Normal People
Momenti straordinari con applausi finti
Non ho voglia di contare i giorni della quarantena. Ogni tanto lo faccio in realtà. Sbircio il calendario del telefono, indietro, avanti, quanto tempo è passato?
Penso. All’inizio è stato tutta una scoperta. Le notizie che si susseguivano, la nuova routine, capire come organizzarsi cosa fare, i messaggi e le telefonate schizzavano a mille all’ora. Un po’ ne ero infastidita, un po’ non riuscivo a sottrarmi. Risposte acide, tesi contrapposte, oh ma sta roba l’hai letta? L’hai capita? E una cazzata, non è così ma come ti dico io, aspetta ma sto nuovo studioso ha detto così, ci vediamo lo stesso? Loro dicono di no ma boh… sicuri? Facciamo lo stesso. Beviamo. C’è un messaggio di Conte. Ma hai capito tu? Penso di sì, sta volta è vero.
Chiuso.
Abbiamo capito.
“Boh ma alla fine ci sono i lati positivi secondo me”. Cerco di ricostruirmeli tutti in mente e li dico ad alta voce. Ma la gente attorno a me (“attorno”) non la pensa così. La mia metà è come se fosse me, quindi faccio fatica a distinguerla da me stessa. Parliamo in due ma mi sembra di parlare con me. È bello. Poco obiettivo ma bello.
Ok ci abituiamo (preziosità dell’abitudine).
Non capisco l’irrazionalità. Mi guardo intorno (“intorno”) faccio domande, sondo il terreno.
A volte vengo capita, a volte no. La paura. Questa non mi appartiene e mi fa arrabbiare.
Dico, ma ce l’avete la testa sulle spalle? Avete trent’anni, non posso consolare anche voi.
Ci sono più o meno sessanta giovani al giorno che mi chiedono risposte. Provo a dargliele.
Sì ma sei sicura? Più o meno, cerchiamo di capire assieme. Ma mi guardo intorno”. Tutti dicono che nessuno ha capito. Le persone che io vedo hanno capito. I giovani non hanno capito. A me sembra di sì. Con una gravezza che solo un adolescente può avere. E allora chi sono questi di cui tutti parlano, che non avrebbero capito? Quelli che magari sbagliano.
Cresce la rabbia, la sento.
La “sento”.
Ma con chi siete arrabbiati? Io mi guardo intorno, “intorno”. Mi pare che tutti abbiano capito. E non capisco questa rabbia verso l’altro. La tv ci dice che nessuno ha capito, che la gente continua a comportarsi come prima. Io non “vedo” nessuno che si comporta come prima.
Ma tu hai capito? A me pare di sì. Mi dicono “alcuni non hanno capito, non gli abbiamo dato gli strumenti” e penso, tu l’hai capito? Sì, invece di aiutare a capire chi non capisce, lo odiamo e basta. Come se fosse l’unica cosa giusta da fare (la morale).
“Sta volta cambia veramente il mondo”, sì lo penso anche io.
Penso al fastidio per e dell’altro.
Ci hanno cresciuti con la frustrazione del non essere riusciti a cambiare il mondo, e la convinzione viva, sincera, se non ce l’hanno fatta loro (il mito), noi cosa possiamo?
Ce ne siamo andati, ci siamo schifati per questo paese dalla nascita, abbiamo manifestato, discusso e organizzato, siamo stati male, abbiamo mollato tutto e ci siamo detti “è così, siamo un paese perso, meglio andare fuori, là è meglio”.
Stiamo tornando.
Migliaia di ri m patri al giorno.
Cosa si può dire di questo paese?
Fa schifo, l’abbiamo abbandonato, ci siamo lasciati trasportare dalla retorica “meglio ovunque che qui”. Adesso il mondo impazzisce.
E noi stiamo tornando.
Fa così schifo? Non abbiamo mai pensato di migliorarlo questo paese. Salvini è figlio della nostra generazione che ci ha abbandonato. Ci siamo abbandonati senza nemmeno provarci.
E tu che sei rimasta cos’hai fatto?
Niente.
Nel mio piccolo (…).
Odio il mio paese ma adesso un po’ meno.
Guardo la fila ai negozi di armi dall’altra parte dell’oceano, guardo i paesi più poveri, ignari (innocenti?) guardo la fuga da Parigi.
Chi ci ha convinto che fossimo un paese così perduto? Perché quando i tuoi studenti ti chiedono un motivo, un significato vero, profondo, del concetto di patria, non sai esattamente cosa rispondere? Perché quando spieghi delle persone che sono morte per l’idea di patria fai fatica anche tu a capire. Capire . Però ci provi e ti dici “erano altri tempi, oggi non sarebbe mai possibile”. Perché.
Porto sicuro.
Porto amico (sepolto). (E la difficoltà della citazione).
Orgoglio.
Sentimento mai provato verso il mio paese. Sinceramente, mai.
Stiamo tornando.
Restiamo?
Riappropriazione.
Tempo
Pensieri.
Paure.
Ansie (riappropriarsi soprattutto di queste).
Però ti devi trovare delle cose da fare.
Cosa sai fare? Studiare, leggere (dolorosamente), scrivere (idem).
Pensare ai vecchi.
Ascoltare il mondo. Fermo.
Scambiarsi sguardi (strani).
Scoprire cose nuove.
Pensare al futuro (con calma).
Da quanto tempo non prendo la macchina?
Un nuovo mondo fatto di balconi.
Fai il tuo cercando di essere gentile.
L’urgenza della comprensione.
All’inizio non avevamo capito, ma poi sì.
Fiducia.
Cucina.
Pulizia.
Passeggiate (brevi).
Lezioni.
Rapporti stretti col pc.
Prof dietro allo schermo non è la stessa cosa.
Dio quanto lo penso anche io ogni giorno, fa quasi male solo al pensiero.
Meglio niente che dietro ad uno schermo. Però non ne sei sempre così sicura.
10 giorni, alla fine mi costringo a fare il conto. 10 giorni di bolla, di nuovi noi.
Qualcuno scriveva della verità vera dei tempi di guerra. Adesso ho capito.
Fino a questo momento l’avevo associata solo alla mia guerra interiore.
L’apatia dei tempi di pace.
Ecco a cosa servono i nostri vecchi (razionalizzando), ricordo.
Ricorda la verità vera dei tempi duri. Non la chiamo guerra perché non me la sono mai immaginata così. L’utilità delle avversità. Quando lo leggevo mi sembrava strano e distante. Non è vero che siamo vicini, siamo lontani. E questa è assolutamente la cosa peggiore.
Però passerà, passerà come tutto il resto. E la natura, passa e va. E noi?
Restiamo (nuovi).
lorena
Accade da un giorno all’altro che la visione del mondo al di fuori e intorno a noi, sia consentita solo dalla finestra della propria casa o appena fuori dalla porta. E tutto quello che osserviamo in ogni momento della giornata ha dei limiti visibili e ristrettissimi fatto di oggetti e di spazi conosciuti e familiari: la cucina, il divano, la camera la terrazza. Nulla di piu’. Se decidi di uscire lo puoi fare solo per cause ben precise, limitate e “incontrovertibili” secondo quanto impone lo stato di emergenza. Improvvisamente la libertà, che credevamo un diritto scontato e irrinunciabile, ci viene negata e, per quanto risulti in certi momenti intollerabile, sai che la posta in gioco e’ la tua salute e quella degli altri. Come sottrarsi a questa limitazione senza sentirsi in colpa o peggio ancora un untore? Eppure, quando è cominciata questa emergenza, non avevamo “capito” e da buoni italiani allergici alle regole,
abbiamo cercato di sottrarci e in qualche modo di eludere le imposizioni. Poi gli organi di informazione hanno cominciato a snocciolare il numero delle vittime dovute alle complicanze derivate dal contagio. Numeri impressionanti, migliaia di morti nel giro di pochissimi giorni. Da quel momento la realtà ci è piombata addosso con tutta la sua drammaticità. E allora, noi di quest’altra generazione, quelli che il mondo hanno cercato di cambiarlo senza pero’ riuscirci davvero visto che poi siamo ancora testimoni di un mondo dove le guerre non si sono mai spente, dove i poveri sono sempre più poveri e i diritti delle donne vengono spesso negati, noi giovani di allora abbiamo compreso che i cambiamenti li dobbiamo costruire fuori ma sopratutto dentro di noi. Ora, costretti a casa tra messaggi, internet, telegiornali e telefonate interminabili con amici, siamo altrettanto sgomenti di fronte a questa emergenza e possiamo godere del fatto che siamo vivi e che la nostra salute è buona e che si ritornerà prima o poi a uscire, incontrarci, abbracciare i nostri figli. Non è una guerra, almeno non la stessa raccontata dai nonni, quando bisognava scappare dalle bombe e dalla fame. Però ci assomiglia e spero aiuti a riflettere sul dopo, sul ritorno alla normalita’, per migliorare la qualità della nostra vita e riconoscere il valore della natura, dell’aria, dell’acqua e del silenzio che adesso ci sembra irreale e pure cosi’ meraviglioso, in assenza di traffico. E’ accaduto sabato scorso, sono uscita in giardino e ho ascoltato per la prima volta dopo decenni, il silenzio intorno e sembrava evocare un ricordo ancestrale, che risaliva ai primi anni della mia vita vissuti in campagna. Ebbene, l’emozione intensa mi ha rasserenato ed ho compreso che tutto quanto accade ha un senso e noi dobbiamo cercarlo per trovare un significato alla nostra esistenza nonostante e soprattutto quando le circostanze sono le più avverse e difficili.