Sabrina
Se gioventù sapesse
«Ho scelto di raccontare il Primo Levi che avrei potuto incontrare poco prima della sua morte. Cosa avrebbe potuto dire Levi al Matteo bambino, trent’anni fa?»
È un rapporto personale quello che lega Matteo Mastragostino allo scrittore torinese: anche se tra le vite dei due l’unica intersezione è l’annuncio mediatico della morte di Levi (11 aprile 1987), l’evento colpisce così tanto il giovane Mastragostino da indurlo in età adulta a elaborare il lutto attraverso una narrazione documentaristica.
Prende forma così Primo Levi: un graphic novel magistralmente curato nei contenuti e nella regia quanto nel tratto di Alessandro Ranghiasci che racconta un Primo Levi in visita a una classe di bambini per portare la propria testimonianza di quel che Auschwitz è stato.
Qui, l’approccio alla narrazione è un metodo documentaristico rigoroso quanto discreto, dove la retorica bonaria e gratuita non trova spazio: «Il primo passo di questo volume è nato facendomi proprio queste domande, e cercando minuziosamente le risposte tra i suoi libri, tra le sue dichiarazioni, tra le sue interviste. Ma ho scelto di non fermarmi solo a quello che lui ha detto, ho preferito anche integrarlo con quello che altri hanno detto di lui. Con interviste e gli scritti di alcune persone che l’hanno conosciuto o studiato a fondo.» (p. 109)
Una tipologia di ricerca come questa sarebbe sicuramente risultata congeniale allo stesso Levi, che non a caso ne Il sistema periodico definisce la propria scrittura come «un costruire lucido, […] un’opera di chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe, e s’industria di rispondere ai perché» (Cromo, p. 145 ed. Einaudi).
Lo stesso scopo dei testi di Mastragostino sembrano perseguire anche le tavole dello storyboard artist Ranghiasci, che esprime nero su bianco un espressionismo delicato in grado di sondare l’animo umano e di tratteggiare l’identità di ogni recluso del campo di concentramento, recuperando cioè proprio quello che la compagine nazista ha azzerato con delle cifre («sapete bambini, quando avevo la vostra età amavo molto i numeri, ma non potevo immaginare che ne avrei portati sei sul braccio per tutta la vita», pp. 7-9).
La narrazione procede tra le domande dei bambini in classe e le risposte del testimone, l’ambientazione ne asseconda il movimento slittando senza soluzione di continuità tra la classe dell’Istituto scolastico Felice Rignon e il perimetro di fil di ferro di Auschwitz, tra gli anni Settanta e i Quaranta. Pagina dopo pagina viene così a delinearsi una cornice narrativa rispetto la presa diretta all’interno del campo di concentramento: una cornice narrativa necessaria per conferire profondità prospettica agli eventi ricordati da Levi e, al tempo stesso, per concedere al lettore di tornare a galla dopo l’apnea delle tavole dedicate alla prigionia nazista.
In occasione del centenario della nascita del chimico-scrittore di Torino (31 luglio 1919) La Repubblica e Beccogiallo diffondono un’opera profonda e approfondita: necessaria non solo per conoscere ma anche per restituire quello che libri di storia, polvere e omissioni non hanno potuto trasmettere alle generazioni successive. Il valore di ogni singola vita umana.
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